LA SICUREZZA SUL LAVORO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS: RESPONSABILITA’ PENALE PERSONALE DEL DATORE DI LAVORO E QUELLA CONCORRENTE DELL’ENTE AI SENSI DEL D.LGS. 231/01

Quello della “sicurezza sul lavoro” è, da sempre, un tema centrale per qualunque datore di lavoro, dovendo tutelare la salute dei propri dipendenti. Il quadro normativo è noto: avendo come riferimento l’art. 32 della Costituzione, sulla tutela della salute come diritto fondamentale del cittadino; il “sistema” è declinato dall’art. 2087 del Codice Civile, che imponendo al datore di lavoro, in ragione della sua posizione di garante dell’incolumità fisica del lavoratore, di adottare tutte le misure atte a salvaguardare chi presta attività lavorativa alle sue dipendenze, per completarsi nel d.lgs. n. 81/2008, con una serie di obblighi e procedure per la salvaguardia della salute e prevenzione delle malattie ed infortuni sul lavoro. Si tratta di una tematica che acquista ancora più rilevanza, oggi, alla luce dell’attuale emergenza sanitaria legata al coronavirus, posto che la situazione impone di tutelare la salute dei dipendenti anche rispetto al rischio di contagio COVID-19. Da questo punto di vista, di estrema rilevanza è il fatto che il D.L. 18/2020, c.d. Decreto “Cura Italia”, all’art. 42 (ancora in attesa di conferma definitiva in sede di conversione) ha riconosciuto il contagio da coronavirus come “infortunio” e non “malattia”, con conseguente copertura INAIL. In questo caso, l’inclusione del contagio fra le ipotesi di “infortunio” e non di “malattia professionale” deriva, evidentemente, dal fatto che l’INAIL è chiamata ad equiparare la causa “virulenta” a quella “violenta”, facendola così rientrare nell’ipotesi di “infortuni” (art. 2, D.P.R. n. 1124/1965). Ovviamente, occorrerà riscontrare il nesso causale o concausale tra l’evento (contagio) e l’attività lavorativa, mediante la prova del danno, della nocività dell’ambiente di lavoro e del nesso di causalità. Del resto, mentre è evidente che per il personale sanitario il nesso di causalità risulterebbe pacifico, di difficile prova è il caso di personale non impiegato nel settore sanitario. A prescindere da questo, permane in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutela dei lavoratori anche rispetto al rischio di contagio da COVID-19.

  • Le misure idonee a tutelare i dipendenti dal rischio di contagio

Con riferimento alle misure idonee a tutelare i dipendenti rispetto al rischio di contagio, a partire dal DPCM 11 marzo 2020, all’art. 1 comma 1, punti 7 e 8, il Governo ha previsto specifiche “indicazioni‟ in ordine alle attività produttive e professionali per le quali è stata consentita la prosecuzione delle attività. In particolare, è stata disposta l’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile il rispetto della distanza interpersonale di un metro, come principale misura di contenimento, l’adozione di strumenti di protezione individuale (DPI). Oltre a ciò, sono state incentivate operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro limitando, poi, per le sole attività produttive, gli spostamenti all’interno dei siti e l’accesso agli spazi. Da questo punto di vista, si tratta di indicazioni sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative che rappresentano, già di per sé, Linee Guida per l’attuazione di specifiche misure di sicurezza che i datori di lavoro sono chiamati a tradurre all’interno dei propri luoghi di lavoro. A tale proposito, ci si è posti e ci si pone la domanda se il datore di lavoro sia tenuto o meno ad aggiornare il Documento di Valutazione Rischi. Allo stato attuale, sembra corretto proporre un approccio prudenziale e per gradi. In effetti, si deve procedere dalla considerazione che, innanzi alla comparsa di un rischio biologico generico che minaccia, in grande scala, la salute pubblica dei cittadini, spetta alle pubbliche autorità dichiararlo, con indicazione delle misure di prevenzione da osservare. E così, nel rispetto del precetto generale di cui all’art. 2087 cc., ciascun datore di lavoro è chiamato ad assumere le conseguenti azioni, senza che per questo debba stravolgere il proprio modello prevenzionistico già adottato in azienda. Si tratta, quindi, di misure che si affiancheranno, provvisoriamente e per tutta la durata della fase di emergenza, a quelle ordinarie già previste, conservando la propria distinta natura e funzione. In questo senso, nell’attuale contesto di tutela della salute pubblica, pare corretto ritenere non giustificato l’aggiornamento del DVR in relazione al rischio associato all’infezione da coronavirus, fatto salvo il caso di ambienti di lavoro sanitario o socio-sanitario o comunque qualora il rischio di infezione da “coronavirus” sia un rischio di natura professionale, legato allo svolgimento dell’attività lavorativa, in questi casi aggiuntivi e differenti rispetto al rischio per la popolazione generale. Pertanto, per i settori normalmente esposti al rischio biologico e quindi ricadenti nell’ambito di applicazione del Titolo X del TU Sicurezza, è necessario provvedere fin da subito ad un aggiornamento della valutazione dei rischi. Nei restanti casi, ovvero nelle situazioni lavorative caratterizzate da un rischio biologico di tipo generico (come tali assimilabili a quello cui è esposta la popolazione non lavorativa), integrando una situazione di “rischio da contatto accidentale aggravato”, sarà sufficiente assumere protocolli di sicurezza anti-contagio, nella forma di documenti allegati al DVR, come ‟addendum‟ che costituisce un sostanziale aggiornamento della valutazione dei rischi correlato a quelle modifiche all’organizzazione del lavoro che la pandemia impone. Ovviamente, l’approccio sopra descritto potrà mutare nel caso in cui gli interventi previsti di contrasto al contagio in ambito lavorativo dovessero essere prolungati nel tempo, anche oltre alla fase emergenziale, così divenendo strutturali, richiedendo in tale caso una nuova e complessiva analisi del rischio. Per quanto concerne l’adozione delle misure di contrasto e contenimento della diffusione del virus nell’ambiente di lavoro, è lo stesso DPCM, 11 marzo 2020 all’art. 1, comma 1, punto 9, ad aver raccomandato il favorire di intese tra Organizzazioni Sindacali e Datoriali, in relazione alle attività professionali e alle attività produttive. E così, in data 14 marzo 2020, è stato effettivamente sottoscritto tra Governo e Parti Sociali il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”. Come richiamato nelle sue stesse premesse, il ‟Protocollo‟ contiene Linee Guida condivise tra le parti, per agevolare le imprese nell’adozione di Protocolli di sicurezza anti-contagio. È, pertanto, a tali indicazioni che si deve fare riferimento per essere poi declinate aziendalmente nel Protocollo specifico di sicurezza. Sul punto, i successici DPCM 22 marzo 2020 (art. 1, comma 3) e DPCM 10 aprile 2020 (art. 2, comma 10) – con il quale è stato prorogato il lockdown fino al 3 maggio -, hanno previsto che le imprese, le cui attività non sono sospese, devono rispettare i contenuti del “Protocollo condiviso” del 14 marzo 2020. Si tratta di una cogenza che trova conferma anche dal D.L. 19/2020, laddove è previsto l’intervento da parte delle Forze di polizia e, ove occorra, le Forze armate, potendo infliggere sanzioni amministrative (art.4, commi 1 e 9), il tutto con la collaborazione delle ASL, e delle articolazioni territoriali dell’Ispettorato del Lavoro, per il controllo sui datori di lavoro delle modalità di attuazione delle procedure organizzative e gestionali previste dal Protocollo condiviso del 14 marzo u.s., sull’osservanza delle precauzioni dettate per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e la sussistenza di adeguati livelli di protezione dei lavoratori. Con riferimento alle misure contenute nel Protocollo condiviso, rinviando ad una più attenta e completa lettura del documento, si possono qui riassumere le seguenti misure di precauzione introdotte:

  1. INFORMAZIONE: attraverso modalità più idonee ed efficaci, occorre informare tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle Autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dell’azienda, appositi depliants informativi, secondo un contenuto stabilito;
  2. MODALITA’ DI INGRESSO IN AZIENDA: si può prevedere la sottoposizione al controllo della temperatura corporea, gestito ai sensi della disciplina privacy vigente, con riferimento al trattamento dei dati;
  3.  MODALITA’ DI ACCESSO DEI FORNITORI ESTERNI: si devono prevedere percorsi e tempistiche predefinite e con riduzione dell’accesso ai visitatori;
  4.  PULIZIA E SANIFICAZIONE IN AZIENDA: si deve assicurare pulizia giornaliera e sanificazione periodica;
  5.  PRECAUZIONI IGIENICHE PERSONALI: si deve garantire la messa a disposizione di detergente con raccomandazione pulizia mani;
  6. DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE: è prevista l’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale (mascherine, liquido detergente, guanti, occhiali, ecc.);
  7. GESTIONE SPAZI COMUNI (MENSA, SPOGLIATOI, AREE FUMATORI, DISTRIBUTORI DI BEVANDE E/O SNACK…): si deve prevedere un accesso agli spazi comuni contingentato, ventilazione continua dei locali, tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano, oltre a garantire sanificazione periodica e pulizia giornaliera;
  8. ORGANIZZAZIONE AZIENDALE (TURNAZIONE, TRASFERTE E SMART WORK, RIMODULAZIONE DEI LIVELLI PRODUTTIVI): durante il periodo di emergenza dovuta al Covid-19, le imprese devono disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento ricorrendo allo smart work, oppure rimodulando i livelli produttivi, ovvero prevedere un piano di turnazione dei dipendenti;
  9. GESTIONE ENTRATA E USCITA DEI DIPENDENTI: occorre favorire orari di ingresso e uscita scaglionati per evitare contatto nelle zone comuni, se possibile dedicando una porta di entrata e una di uscita da questi locali, garantendo la presenza di detergenti segnalati;
  10. SPOSTAMENTI INTERNI, RIUNIONI, EVENTI INTERNI E FORMAZIONE: gli spostamenti devono essere limitati al minimo indispensabile, non sono consentite le riunioni in presenza, sono annullati tutti gli eventi interni ed attività di formazione, essendo possibile effettuarla a distanza
  11. GESTIONE DI UNA PERSONA SINTOMATICA IN AZIENDA: se una persona in azienda sviluppa sintomi di febbre e di infezione respiratoria quali la tosse, deve dichiararlo immediatamente al personale e deve procedersi al suo isolamento, avvertendo repentinamente le autorità sanitarie competenti;
  12. SORVEGLIANZA SANITARIA/MEDICO COMPETENTE/RLS: la sorveglianza sanitaria prosegue con il rispetto delle misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute (decalogo);
  13. AGGIORNAMENTO DEL PROTOCOLLO DI REGOLAMENTAZIONE: è prevista la costituzione in azienda di un Comitato per l’applicazione e verifica delle regole del Protocollo di regolamentazione, con partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e RLS. Fin qui, l’attuale quadro normativo che è in continuo aggiornamento. In effetti, in vista della c.d. “Fase 2”, e cioè l’ulteriore riapertura delle attività con il superamento del lockdow, il Governo ha istituito un Comitato di esperti (guidato dal Dott. Vittorio Colao) al fine di elaborare misure graduali di riapertura, anche attraverso la previsione di nuovi modelli organizzativi che avranno, evidentemente, incidenza anche rispetto la disciplina della sicurezza nei luoghi di lavoro.
  • La responsabilità dell’ente dipendente da reato di omicidio colposo o lesioni gravi e gravissimi per contagio da Covid

Il tema dell’emergenza sanitaria scaturita a seguito del diffondersi del virus Covid-19 ha diretti risvolti anche in tema di responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato di cui al d.lgs. 231/2001. In particolare, si deve fare riferimento all’art. 25-septies relativo ai reati di “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”. In questi casi, oltre alla responsabilità penale del datore di lavoro può seguire un’autonoma e concorrente responsabilità dell’ente a norma del D.lgs. 231 del 2001. È, pertanto, evidente come la corretta adozione delle misure previste per l’esclusione del contagio dei dipendenti rilevi, a maggior ragione, anche ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’Ente. Da questo punto di vista, un ruolo importante viene svolto dall’Organismo di Vigilanza (OdV), nominato all’interno dell’ente nell’ambito dell’adozione di un Modello organizzativo di gestione e controllo per la prevenzione dei reati previsto dal Decreto 231 In questo caso, l’Odv è chiamato in causa, sotto diversi profili. Tra gli altri, oltre ai flussi comunicativi ed informativi con riferimento all’aggiornamento in tema di salute e sicurezza, particolare rilievo assumono gli adempimenti da parte dell’Ente in ordine al rispetto dei provvedimenti emergenziali adottati dal Legislatore e dalle altre Autorità (DPCM, Ordinanze Regionali e del Ministero della Salute, ecc.). In ragione di ciò, l’attività dell’OdV dovrà certamente riguardare la verifica dell’eventuale implementazione del DVR e, in ogni caso, il controllo del rispetto delle suddette indicazioni e, con riferimento all’oggi, in relazione a quanto previsto dal Protocollo del 14 marzo 2020 sotto i seguenti profili: informazione, modalità di ingresso in azienda, modalità di accesso dei fornitori esterni, pulizia e sanificazione ambienti, precauzioni igieniche personali, DPI, gestione spazi comuni, organizzazione aziendale, entrata ed uscita dipendenti, spostamenti interni, riunioni e formazione, gestione persona sintomatica, sorveglianza sanitaria e costituzione del comitato di crisi. In conclusione, non è superfluo ricordare come le attività di verifica e controllo dell’Odv dovranno certamente avvenire attraverso il confronto con gli organi societari (CdA, Collegio Sindacale, Revisore dei Conti) e con i soggetti coinvolti in tema di sicurezza (Rspp, Medico competente ecc.), con la precisazione che l’Organismo di Vigilanza mantiene un compito di vigilanza, così come previsto dal d.lgs. 231/2001, senza compiti operativi.

Avv. Valerio Girani

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