Il TAR si pronuncia sulla legge 40

25 Maggio 2005

 

Sul dibattito sempre più intenso relativo ai prossimi referendum sulla legge 40, la “libera informazione” ha “sorprendentemente” omesso di portare all’attenzione dei propri lettori, una recentissima sentenza della Sezione Terza Ter, del Tar del Lazio.

I giudici amministrativi hanno infatti rigettato il ricorso (fondato su plurimi motivi) presentato dalla Warm – World Association Reproductive Medicine – che accusava le linee guida della legge 40 di ledere il diritto alla salute; alla libertà scientifica ed allo sviluppo dell’arte medica.

Detta sentenza è degna della massima attenzione in quanto, con pregevole chiarezza, evidenzia come non sia possibile “scientificamente affermare” quando l’embrione sia vita in quanto:

guardando agli orientamenti emergenti nella letteratura scientifica, non sembra possibile identificare la “data di nascita” dell’embrione, inteso come nuovo organismo umano; non soccorrono alla scopo le nozioni di zigote, di morula, di blastocisti, o di embrioblasto, e neppure la differenziazione del sistema nervoso con la comparsa della “stria primitiva”, le quali descrivono i vari stadi di sviluppo cellulare.

Ciò che appare invece indubbio, a prescindere da ogni valutazione filosofica e religiosa, è che il processo biologico è un continuum che comincia, in condizioni normali, con la fecondazione, e cioè con l’unione del gamete paterno con quello materno (o, meglio, dei due D.n.a.) e procede senza salti di qualità.

Esula dunque dalla biologia la possibilità di dire quando è che un embrione divenga persona (rectius : sia tutelabile in quanto tale); ove se ne ravvisi la necessità, ciò potrebbe essere il frutto di una “convenzione umana”, che, per la sua massima rilevanza, e per le ricadute connesse, non può che configurarsi come scelta espressione di discrezionalità politica del legislatore (come è avvenuto in altri ordinamenti), e giammai competere, praeter legem, ad un provvedimento amministrativo, chiamato solamente a dare attuazione tecnica alla legge, e non ad esprimere opzioni ideologiche, come è quella secondo cui l’embrione non è soggetto di diritto fin dal momento del concepimento.”.

Parole chiare e semplici che nella loro immediatezza sgombrano il campo da qualsivoglia tipo di argomentazione “parascientifica” di chi sostiene che la vigente legge 40 “imbrigli” la ricerca scientifica e l’arte medica  nelle paludi di un ritorno ad epoche “oscure” .

Proprio queste accuse vengono così ricondotte in un corretto alveo dal Tribunale:

la scienza medica proietta la sua luce in un contesto che si pone al crocevia fra due diritti fondamentali: quello di essere curato efficacemente, e quello dell’essere rispettato nella propria dignità ed integrità di essere umano.

Nel caso di specie non sembra revocabile in dubbio che a tutela dell’embrione il legislatore possa intervenire a limitare la pratica medica, tanto più ove la stessa non si basi su adeguate evidenze scientifiche e sperimentali.”.

Tale concetto di evidenza scientifica, viene altresì ribadito, in un ulteriore passaggio concernente il delicato e triste problema del “diritto alla sanità del figlio” per le coppie portatrici di malattie genetiche:

E’ evidente che l’impossibilità di effettuare diagnosi preimpianto non permette di selezionare gli embrioni sani nel caso di genitori portatori di malattie genetiche.

Una tale facoltà è preclusa dalla legge (art. 13, III comma, lett. b) in quanto ricade nel divieto di selezione a scopo eugenetico, seppure trattasi di eugenetica negativa, volta cioè a fare sì che non nascano persone portartrici di malattie ereditarie, e non già a perseguire scopi di “miglioramento” della specie umana.

Non sfugge al Collegio il rigore della soluzione normativa, tanto più perché inserita in un contesto ordinamentale distonico, che riconosce una tutela forte dell’embrione, ma al contempo consente, ad esempio, metodi di controllo delle nascite, come la c.d. pillola del giorno dopo, che agiscono proprio nel senso di evitare l’annidamento in utero dell’ovulo fecondato.

Ciò nonostante gli argomenti esegetici di dubbio non riescono a superare, sul piano (si intende) strettamente giuridico, l’inesistenza di un fondamento alla pretesa ad avere un “figlio sano”.

Di fronte a tali parole non possiamo che richiamarci  a quanto dichiarato da Benedetto XVI, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Giurisprudenza da parte della LUMSA novembre del 1999:

L’elaborazione e la strutturazione del diritto non é immediatamente un problema teologico, ma un problema della “recta ratio”, della retta ragione. Questa retta ragione deve cercare ti discernere, al di là delle opinioni e delle correnti di pensiero, ciò che è giusto, il diritto in se stesso, ciò che è conforme all’esigenza interna dell’essere umano di tutti i luoghi e che lo distingue da ciò che è distruttivo dell’uomo”.

 

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