Gli avvocati, la “liberalizzazione” e lo sciopero

25 Luglio 2006

 

Dopo la decisione degli organi rappresentativi dell’Avvocatura,all’assemblea generale di Roma del 21 luglio u.s., di proseguire conl’astensione dalle udienze e a fronte della mancanza di segnali di apertura aldialogo da parte del Governo, ci sembra necessario riflettere su quella che riteniamo essere la questione fondamentalesottesa all’intervento legislativo e sulle prospettive di riforma della nostraprofessione, cercando di evitare una sterile battaglia di posizionicontroproducente sia per le due parti oggi contrapposte, sia per i cittadini.

 

1. Il decreto Bersaniintende chiaramente incidere sull’immagine e il ruolo dell’avvocato nei prossimi decenni.

Sotto la veste quanto mai generica della pretesa ”liberalizzazione”, ildecreto Bersani introduce una serie di elementi tipici di una figura di avvocato lontana da quella della tradizione italianae più vicina, senza dubbio, a quella del mondo anglosassone.

Bene o male che sia, bisogna innanzitutto prendere atto che le nuoveregole introdotte rappresentano il primo passo verso un modello di avvocato che, ad oggi, non appartiene al patrimoniogiuridico del nostro Paese: in questo senso, è chiaro a tutti che una similetrasformazione non può essere certo intrapresa conun decreto legge!

Si è scelto, infatti, di intervenire su aspetti che vorrebbero preluderead una liberalizzazione a favore di una maggiore efficacia dei servizi residall’avvocato, senza una seria valutazione dell’effettiva capacità delle misureadottate di consentire il raggiungimento di tale scopo. Sotto questo profilo, èassolutamente significativo (e preoccupante) che non sia stato fatto neppure unaccenno al punto principale da affrontare in un’ottica di riforma dellaprofessione forense: il problema dell’accesso e della formazione (una maggioreefficienza e preparazione dell’avvocato, ad esempio, sarà certamente piùgarantita da un accesso selezionato e da un’adeguata formazione permanente,piuttosto che dall’abolizione del divieto del patto di quota lite, con la qualeverranno a mescolarsi gli interessi dei clienti con quelli dell’avvocato, lacui remunerazione dipenderà dall’esito della causa).

Dev’essere, pertanto, condivisa la protesta dell’Avvocatura che, scavalcata anche nel metodo, si è vistaimporre novità rilevanti che non tengonoconto né della realtà giuridica, economica e sociale del nostro Paese, né dellavoro svolto in questi anni per arrivare ad una riforma articolata ecomplessiva di una professione intellettuale che svolge un importante ruolosociale e di garanzia.

 

2. Al modello presupposto (eimposto) dal Decreto Bersani l’Avvocatura italiana, con le sue iniziative,contrappone un’immagine ben diversa, legata alle proprie tradizioni e ad unsistema che fa perno sul ruolo deiConsigli dell’Ordine (la cuiabolizione o fortissima riduzione è tra gli obiettivi della campagna iniziata conil decreto in questione, forse unitamente alle mire sul patrimonio della CassaForense!).

La difesa strenua di tale posizione rischia però, a nostro avviso, dipeccare allo stesso modo di poco realismo non tenendo conto di comel’evoluzione sociale ed economica possa rendere superati alcuni schemitradizionali che hanno determinato una certafigura di avvocato, soprattutto agliocchi degli utenti: per tutelare veramente il diritto alla difesa dei cittadiniè necessario, infatti, andare nel senso opposto a quello indicato dal decreto“Bersani”, ossia risolvere il problema dell’accesso alla professione e la conseguente incontrollata proliferazione diavvocati, rendere obbligatorio un sistema di aggiornamento costante nel tempo,rendere effettivo il controllo sull’operato dei professionisti, sotto ilprofilo disciplinare e deontologico (è sotto gli occhi di tutti, viceversa, chei Consigli dell’Ordine, per come sono attualmente strutturati, non sono ingrado di esercitare in modo efficace la funzione di vigilanza nei confronti deglioltre 150.000 avvocati italiani).

 

3. Ciò posto riteniamo che:

Ø il decreto legge rappresenti un grave errore, innanzitutto di metodo, concui il Governo ha imposto ideologicamente, senza alcun confronto o dibattito,una diversa concezione di unaprofessione così delicata ed essenziale qual è quella dell’avvocato, conpossibili conseguenze negative per gli stessi cittadini utenti;

Ø allo stesso tempo, tuttavia, la proclamata astensione dalle udienzeappare un metodo inadeguato, poco rispondente al ruolo di pubblica utilitàdell’avvocato e, di fatto, poco efficace. Si rischia, cioè, di creare un’inutilecontrapposizione che non aiuta ad affrontare il problema fondamentale relativoalla riforma della nostra professione, nel senso di una maggiore “protezione”della stessa, a garanzia dei cittadini e della buona amministrazione dellagiustizia;

Ø ben più utili riteniamo essere altre iniziative (in parte già intraprese),individuate e organizzate dagli organi rappresentativi dell’Avvocatura, direttea creare spazi e momenti didiscussione (ad esempio attraverso una sistematica sensibilizzazione sugliorgani di stampa, una raccolta di firme, incontri pubblici, ecc..), non solo alproprio interno, ma soprattutto con i soggetti politici e sociali e con icittadini, che rischiano di non comprendere le ragioni dell’attuale astensionedalle udienze, vista come un dannoper la società;

Ø i numerosi esponenti della categoriapresenti in Parlamento e nelle altre sedi istituzionali dovrebbero essere sollecitati a portare il lorocontributo in questa fase delicata, ponendo in essere iniziative che consentanol’inizio del dialogo tra Governo e Avvocatura che, in questo momento, apparequanto mai necessario.

 

Noi, in tal senso, continuiamo a dare il nostro contributo.

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